La polemica contro il DDL Gelmini riguarda anche il fatto che al suo interno è stabilito che l’amministrazione dell’Università sia affidata almeno in parte a forze esterne. Questo fa il paio con una struttura complessiva del DDL che pone nelle mani dei professori ordinari tutti i momenti decisionali ed in maniera particolare il reclutamento dei ricercatori e il loro avanzamento di carriera. La propaganda ripete che questo è un provvedimento che strapperà le Università al potere dei baroni proprio quando la consegna nelle loro mani.
A proposito del concorso nella gestione di persone esterne che abbiano, si dice nel disegno di legge, comprovata competenza in campo gestionale, non possiamo che notare come è già stato visto l’effetto di questo taglio aziendalista nella gestione di pezzi dello stato. E’ già stata affidata a manager di nomina politica la gestione di alcuni servizi pubblici con il risultato che si è espanso il potere decisionale degli apparati di partito ed il servizio è peggiorato. In un territorio come il nostro, poi, questo significa correre il rischio di aprire la porta ai grandi potentati economico-mafiosi, che da noi la fanno da padroni, o ad una certa politica clientelare e collusa.
Totalmente opposte erano le idee alla base della nascita della nostra Università e che ritroviamo nel suo primo statuto (sarebbe un buon esercizio rileggerlo anche se è vecchio di circa quarant’anni). Già dall’inizio, fra gli elementi innovativi nella nostra Università c’era, oltre alla residenzialità e la nascita dei dipartimenti, l’introduzione della democrazia interna, fino a quel momento sconosciuta. Per la prima volta, tutte le figure all’interno dell’università furono chiamate a partecipare alle decisioni di interesse collettivo.
Ma la partecipazione democratica alle scelte è cosa delicata: bisogna conoscere i termini delle questioni, studiare, approfondire. I limiti della Democrazia risiedono proprio nel fatto che senza un’adeguata conoscenza dei fatti, dei rapporti di forza, dei motori economici e degli interessi, una cosciente partecipazione non ha luogo. Quindi, si può minare in egual modo la Democrazia sia riducendo degli spazi di partecipazione che limitando l’accesso all’informazione. Entrambe queste azioni sono foriere di soluzioni in cui il potere rimane di un’oligarchia, non automaticamente illuminata perchè scelta fra i più alti in grado, capace soltanto di gestire l’informazione ed approfittare di ogni possibile sbavatura per limitare la partecipazione.
Questa cosa è così sottile che un collega, quarantenne come me, ha affermato che non bisogna permettere agli assegnisti di ricerca di partecipare e votare nei consigli di dipartimento perché facilmente ricattabili. Siamo arrivati all’assurdo di affermare che non bisogna informare e ne far partecipare alle decisioni le persone che stanno nei nostri laboratori e che, evidentemente, rappresentano il meglio dei nostri lavoratori della conoscenza, che producono e spingono in alto la qualità della nostra ricerca. Quando si tratta di permettere loro di esprimere un’opinione ci si ferma, calpestando la loro dignità. Nulla può far cambiare idea ai valvassori ed ai servi della gleba di questo potere medievale, neanche il fatto che spesso le decisioni riguardano proprio il futuro di quelli a cui non concedono il diritto di parola.
Il DDL Gemini prefigura una duplice riduzione della possibilità che l’Università sia un luogo vivo e partecipato, un luogo in cui si sa, si pensa, si discute, si prendono decisioni. Se volessimo un’Università diversa ci basterebbe spostarci in quella privata in cui legittimamente l’organizzazione interna può essere in mano di pochi, in cui le decisioni devono essere prese a favore della proprietà.
Dipende quindi da noi fare in modo che l’Università resti un luogo in cui non ha residenza una visione feudale della gestione.